lunedì 28 novembre 2011

Caro Amore, ti scrivo ©
Di Martina Cimmino


Quel giorno in autobus, in quella città uggiosa, lontana da casa, la pioggia che scorreva sui finestrini mi dava l'idea di essere sott'acqua. E io, presa da amnesia, non riuscivo a nuotare. Non che volessi farlo comunque. Il mio cuore che annegava era un dato di fatto, irrevocabile e non avrei potuto cambiare le cose. Poi, però, tra le ultime bolle d'aria che si affrettavano fuori dai miei polmoni apparve la tua mano che iniziò a spingermi verso la superficie.
"Scusi, signorina, il suo ombrello gocciola sulle mie scarpe". Mi girai per vedere che faccia avesse quella voce calda, intrisa di disappunto. Davanti a me c'era un bell'uomo sulla trentina tipicamente inglese. Il British-good-breeding gene è inconfondibile. Il tuo viso, impassibile di fronte alla mia espressione da italiana bad-tempered quale sono, si aprì in un sorriso dolcissimo.
La tua mano mi ha salvato l'anima. Quell'incontro accidentale fu l'espediente che permise al mio cuore di non trovare sepoltura nel mare della sfiducia. Dopo un attimo di stordimento, durato giusto il tempo di qualche cena fuori, mi concentrai su di te, pronta per darti il meglio di me stessa, senza però rendermi conto di quanto ancora mi pesasse il recente e frustrante tradimento subito. La paura del passato mi impedì di apprezzare il tuo carattere nella sua complessità e fallace perfezione. Ma tu sei sempre stato paziente e hai preso i miei talora algidi atteggiamenti nel modo migliore, con una pazienza e una comprensione che da un uomo non ci si aspetta.
Pochi mesi dopo, quando il mio corso di aggiornamento nella metropoli finì e tu mi riaccompagnasti in Italia, l'aeroporto creò l'atmosfera adatta a ricucire il mio cuore nella sua interezza e mi aprì davanti agli occhi le infinite sfumature della tua personalità, che fino ad allora involontariamente avevo ignorato. Ti baciai e ti abbracciai con una luce nuova negli occhi e ti dissi tutto quello che provavo. Ti feci però anche notare che ormai era tempo di tornare a casa e che le nostre strade si sarebbero divise. Le tue parole di quel momento non le dimenticherò mai. "Il nostro amore è troppo grande per essere distrutto dalle distanze". E fu allora che iniziò il vero viaggio!

                                                                                   

domenica 20 novembre 2011

Caro Amore, ti scrivo. ©
Di Margherita Sgorbissa
Qui è tutto buio, la mia stanza è stretta e la luce del sole è qualcosa che ormai brilla solo nei ricordi.
Mi vengono in mente le piogge dorate di foglie, quando le acacie a ottobre perdevano i loro appassiti gioielli e noi li calpestavamo noncuranti di tutta la sofferenza che dovevano provare, adagiati nella loro decadenza. Poco più in là il lago, immerso in un mesto silenzio, come se il mondo attorno si fosse cristallizzato davanti a noi. Per noi.
Già allora, fra un sussurro e l'altro, senza interrompere il vento nel suo canto autunnale, ti chiedevo di amarmi e lasciarla stare, una volta per tutte. Mi fidavo di te, della tua forza e della tua volontà. Sapevo che c'era qualcosa di più grande dentro di te e dentro di noi, che potesse superare la mediocrità di un vizio, di un effimero piacere. Un piacere che nei tuoi occhi, e poi nei miei, si specchiava subdolo, strisciante, infimo.

Mi ero accorta di voi due quand'era già tardi. C'erano sere in cui ti fermavi fuori fino a tardi, a volte nemmeno tornavi a casa, quelle in cui telefonavo a Luca, a Stefano per sapere se ti eri fermato da loro e mi rispondevano con quelle voci confuse, stordite, imbarazzate.
Tu non riusciresti a capire nemmeno ora tutta la mia frustrazione, la mia rabbia nell'essere lasciata da sola, in quella casa buia, fredda, talmente desolata da sentire i vicini russare nell'altra stanza e pregare che il mattino dopo ti avrei trovato in cucina, almeno sano e salvo.
Ma tu la volevi, la cercavi. La bramavi come fosse la sintesi di un'immensa libidine, come se nell'averla affianco riuscissi a trovare il segreto di questa vita che tu credevi complicata, persino insensata a volte. Me lo dicevi e io stavo lì, pensavo a lei, cercando un modo per eliminarla per sempre dalle nostre vite, dalla tua per primo.

Poi hai cominciato a portarla a casa.
Era lì, nella nostra cucina, inerte, meschina. Dicevi che non sapevi dove portarla, non aveva un posto sicuro dove stare. Sarebbero venuti a prendersela prima o poi, ma chi?
Ti chiudevi nel bagno per ore, mentre io fuori urlavo, piangevo perché sapevo e ti scongiuravo di smetterla.
Tu uscivi con quel sorriso sghembo, rotondo, gli occhi velati da una strana contentezza. Mi faceva vomitare. Sbattevo le porte, spaccavo i bicchieri, perfino ti colpivo il petto con dei pugni rassegnati, deboli, ma tu quell'amore non lo sentivi. Lei lo filtrava altrove, chissà dove. Tu il mio dolore non lo vedevi, i miei occhi stanchi, supplicanti erano un gioco, uno scherzo visivo, un piccolo dettaglio scomodo.
Poi fu il periodo della tua puntualità. Alle nove eri a casa. Anzi, rotolavi a casa. Raccoglievo la tua stanchezza, asciugavo l'orlo della tua bocca sporca di saliva, assecondavo i tuoi deliri. Ti prendevo il colletto della polo con due mani, ti sbattevo la testa contro il tappeto quelle volte in cui facevi perfino fatica a stare seduto e con una collera contrita, ti intimavo di smetterla. Te lo ricordi questo, amore?
Lei doveva uscire dalla tua vita, pensavo, doveva tornare al suo posto, lontano da noi. Ma mi baciavi, tu. Ridevi, tu. Mi amavi, tu? Che stupida, a credere che in quel sesso tossico e ipocrita, si nascondesse la nostra felicità. La nostra forza, la nostra seconda ed ennesima possibilità.

Amore, ti ricordi quando hai cominciato a chiedermi di giocare con voi? Una cosa a tre! Che bellezza ti doveva sembrare, quella di me assieme a lei, una dentro l'altra, vicine, in un'estasi eccitante, in cui ci saremmo potuti perdere assieme, nel vorticare di una totale assenza di sensi, di realtà, di vita.
Perdonami per quello schiaffo, avrei potuto risparmiare le mie energie per dopo. Perdonami anche per averla presa e sbattuta fuori di casa, con violenza. Non avrei voluto farti arrabbiare, darti la pena ti prendermi le braccia, scuoterle con forza, sbattermi a terra, minacciarmi con i tuoi pugni ad un centimetro dal viso. Perdonami, amore, per quell'ulteriore seccatura. Ora ammetto che me la sarei potuta risparmiare. Per dopo.

Quel giorno arrivasti a casa. Avevi la pazzia che balenava negli occhi sgranati. Ti passavi una mano sotto il naso, ogni dieci secondi, istericamente. Sei entrato a casa urlando il mio nome, prendendo la tovaglia con il mio piatto e il mio bicchiere ancora sopra e hai spaccato tutto a terra. Hai rovesciato le sedie, gettato a terra la borsa, la pianta di mia madre, le pentole sui fornelli. Hai spalancato il frigo, amore. Hai persino mandato in frantumi la nostra foto della Spagna. Amore.
Hai fatto un buco con un pugno contro la porta che avevo decorato per te. Sei salito lungo le scale e il mio cuore batteva all'impazzata, amore, perché da come stavi sbraitando lei era sparita, qualcuno te l'aveva portata via. O forse qualcuno ti aveva scoperto con lei, amore? Qualcuno aveva preso i vostri nomi e li aveva inseriti assieme in un registro inopportuno?
Dal tuo farfugliare non capivo niente, da quella nausea che stava sconvolgendo i miei sensi non capivo niente. Tenevo le mani strette sul ventre, perché là dentro sentivo qualcuno agitarsi, forse anche lui aveva sentito qualcosa.
Ero incinta, ma tu non lo sapevi ancora, amore. Perché tutte le volte che avrei voluto dirtelo, lei era con te, dentro di te, nel tuo sangue, nelle tue vene, nel tuo cervello, nel tuo cuore, nei tuoi occhi ormai inumani, irrazionali, assopiti da qualcosa di più grande, più devastante di quell'amore che mi avevi dimenticato, per poi scomparire nel suo oblio.
Avevi una sedia in mano, alzata a mezz'aria, traballante verso di me.
E io lo sapevo che mi avresti dato la colpa se lei se n'era andata. Era colpa mia, io te l'avevo portata via. Il male ero io, la fine ero io, la colpa ero io.
Ma era troppo.

Non volevo premere il grilletto, amore, te lo giuro. Non volevo che quel piccolo proiettile ti perforasse la fronte, non volevo vederti immobilizzare da un colpo così netto. Io ti amavo, ti ho amato in tutto questo lungo e drogato tradimento. Ti ho offerto il mio aiuto, il mio sostegno, la mia presenza. Persino tuo figlio era lì in grembo con me, per te.
Ma tu volevi uccidermi per lei, per quella polvere bianca che ti entrava dal naso e poi nelle vene, nel cervello, nel sangue, nel cuore, togliendo il mio spazio, togliendo l'ossigeno della ragione, dell'amore, spezzando via il profumo delle acacie dorate, il canto del vento mite, il silenzio del lago, in tutta la sua bellezza.
Ti avevano scoperto, te l'avevano portata via, la cocaina.
Eri spacciato, da lei, per lei, con lei.
Ti aveva distrutto. Ti eri distrutto.

Caro Amore,
ti scrivo. Qui nella mia cella è tutto buio, la mia stanza è stretta e la luce del sole è qualcosa che ormai brilla solo nei ricordi.
Fra tre mesi mi porteranno all'ospedale, darò alla luce Francesco e attuerò le pratiche per l'adozione.
Se tutto va bene, il giudice mi riconoscerà l'instabilità mentale e potrò uscire da qui.
Villa Santa Chiara è già pronta per accogliermi, con le sue terapie di recupero, le pillole, la calma. La vita. L'amore? Chissà.

Che Dio ti abbia in gloria amore mio, ora che lei se n'è andata e tu con lei, il Sole nuovo che vedrò all'uscita da qui sarà il più bello di sempre.
Ti amerò per sempre,

 Tua Serena.

venerdì 18 novembre 2011


Caro amore, ti scrivo 
Di Giulia Ambrosini

Pensare a quale può essere stata la tua reazione, quando sei tornato dal lavoro e hai trovato il biglietto che ti ho lasciato, mi distrugge. Chissà se hai pianto... no, non può essere. Tu sei così forte, sei così impassibile. Piuttosto, ti sei arrabbiato tantissimo e non hai voglia di rivedermi in questo momento; beh, non mi vedrai più.
Ti scrivo questo altro biglietto, voglio che tu sappia tutto.
Inizio con il dirti che non te lo meriti, amore mio. Non mi hai mai fatta soffrire; sei un uomo meraviglioso, un marito perfetto. Entrambi ci siamo sempre sacrificati per realizzare il nostro sogno di avere una vita serena, dal giorno in cui è nato il nostro amore.
Lavoravamo da mattina a sera, riuscivamo a vederci solo a cena; io, poi, sparecchiavo la tavola mentre tu guardavi la televisione. Ti sarà sembrato che ti stessi ignorando, amore mio, ma tra un piatto e l'altro rivolgevo sempre per qualche istante uno sguardo al tuo viso. Ho sempre adorato l'espressività che lo caratterizza; si capisce subito quando ti viene da ridere, quando ti stai innervosendo o quando sei annoiato. Quando concludevo la pulizia della cucina, mi sedevo accanto a te, senza che tu mi dicessi qualcosa. Ma io so, grazie al tuo viso intenso, che ti emozionava avermi accanto a te. Ogni tanto mi accarezzavi le spalle, come per massaggiarmi, e io ho sempre provato un brivido lungo la schiena. Fra di noi c'è sempre stata della timidezza, ma riusciamo a capirci anche solo con lo sguardo, vero amore mio?
Stanchi della giornata, ci mettevamo a letto abbastanza presto. La notte accanto a te, ad ascoltare il tuo respiro e ad abbracciarti sotto le coperte, è sempre durata troppo poco. Appena andavi a lavoro, io mi spostavo al tuo posto, per sentire sulle lenzuola il tuo calore e il tuo profumo.
Come adesso sai, sono anch'io romantica; ma, con il passare degli anni, ho perso la bravura che avevo nel mostrarti ciò che provo. La passione però è sempre rimasta, amore mio.
Ti ricordi il nostro primo appuntamento? Avevamo vent'anni, a quei tempi ero molto più sentimentale. Prendemmo un traghetto per andare a Venezia, così, per trascorrere qualche ora speciale: l'idea fu mia. Lo feci apposta, mi sembrò romantico. Mentre avanzavamo sul mare, notasti che tenevo nella mia borsa “1984”, il romanzo di Orwell: mi dicesti che era uno dei tuoi libri preferiti, allora io lo sfogliai per trovare le pagine che riguardano il primo incontro tra Winston e Julia e te ne lessi un pezzo. Il sorriso che nacque sul tuo volto fu straordinario.
Ricordo così tanti giorni felici, amore mio. Ne ricordo anche uno terribile: quello in cui mi dissero che ho il cancro. Lo seppi prima di te e crollai a piangere: ero triste, ma non per me stessa, ero triste per te, perché non avrei mai voluto lasciarti solo. Ebbi talmente tanta vergogna da chiedere a tua madre di dirtelo al posto mio. Non ho mai voluto parlarne con te, non volevo ammettere che il tempo che avevamo ancora a disposizione per stare insieme stava amaramente finendo. Tornai a casa solo dopo essermi accertata che tua madre ti avesse già dato la notizia; lo sguardo che tu mi rivolgesti è la cosa più triste che è capitata nella mia breve vita, amore mio. Mi ricordo anche quando, poche settimane fa, mi hai abbracciata: quando hai disciolto le braccia, hai mostrato un'espressione di disprezzo verso il mio corpo, diventato mestamente magro.
Non sopporto tutto questo, io voglio la felicità sul tuo volto. Non voglio arrivare a quel giorno in cui ti diranno che sono morta, non riesco ad aspettare con questa angoscia inesorabile. Voglio morire adesso e, stavolta, voglio essere io a darti la notizia.

Addio amore mio, ti amo e ti ho sempre amato.

sabato 12 novembre 2011

 
Caro Amore Ti Scrivo...


DEL PERDUTO AMORE ©
Di Maria Irene Cimmino

Ti scrivo, ma la lettera non la riceverai.
Consegno me stessa al foglio che mai lascerà questa casa.
Parlarti guardandoti negli occhi mi sarebbe impossibile.
Sei stato una bomba che mi è deflagrata dentro, un’emozione incontrollata che mi ha rapito all’improvviso lasciandomi senza fiato, senza pensieri, con un grumo di sentimenti mai provati prima, mai sentiti, del tutto inaspettati.
Sbigottita e svuotata da tutto eppure piena di te: primo e ultimo pensiero.
Di sera, prima di addormentarmi immagino il mio capo appoggiato sulla tua spalla, cercando di indovinare i tuoi pensieri che si fanno respiro e la tua mano, forte, che mi cinge i fianchi e mi stringe; al mattino, prima di posare i piedi a terra e iniziare la giornata, accompagnata dal sogno di te, nella notte.
In questo momento della mia vita forse avresti potuto essere chiunque, ma lo trovo riduttivo ed anche un po’ offensivo, non è del tutto vero: è toccato proprio a te e a me.
Volevo intensamente che iniziassimo questa bella avventura di condivisione di valori idee progetti pensieri improvvisi che mi ha riempito la vita, mi ha fatto provare emozioni e tirato fuori idee e capacità che non pensavo di possedere.
Ma le cose sono andate diversamente. Sono stata travolta da cose più grandi di me e ho perso la testa.
Mi è arrivato tutto addosso come una valanga, l’ho vista: inarrestabile e violenta, incontenibile e dirompente.
Quando stavo con te o ti parlavo al telefono mi sentivo inondata da un empito di energia, di voglia di fare, di “sentire” la vita in modo diverso, con gli occhi di un’adolescente e la saggezza di una donna che ha ancora tanto da dare a se stessa e agli altri.
La lettura, l’ascoltare la musica erano per te, le notizie, i commenti politici, i fatti di cronaca erano per te, per noi. Nel dormiveglia pensavo a quello che ti avrei detto, a come te lo avrei detto, a cosa mi avresti risposto, alle fresche risate, alle facezie e ai disinganni della nostra vita.
Ma ora posso solo rimpiangere un tempo della mia vita così diverso, così intenso, così pieno e potentemente emozionale.
Mi hai dato tanto, più di quello che ho saputo tenere.
Ora mi manca la voglia di fare qualunque cosa, non provo interesse per nulla, non ho più voglia di parlare, di ascoltare, di leggere.
Pensieri fissi, tristi.
Chissà se e quando potrò recuperare il rapporto di amicizia con te, se mi darai ancora fiducia, se potremo riprendere il fil rouge del nostro raccontarsi.
Mi dicono che non devo programmare il futuro, vivere giorno per giorno; il destino, le sorprese sono talvolta dietro l’angolo.
Ma mi manca la tua voce, il tuo sorriso, il tuo esserci e basta. Ogni giorno vuoto senza di te passa nella speranza e nella paura di incontrarti, di vederti o solo di saperti con altre… cos’è mancato in me, dove ho sbagliato, ero troppo per te o troppo poco? Non lo saprò mai, mai avrai il coraggio di dirmelo. E io che continuo a sognare di aprire di nuovo il mio cuore a te, come quel giorno in cui misi a nudo la mia anima, che la consegnai fra le tue mani che non seppero tenerla. Non hai saputo farne nulla, mi hai solo messo alla porta. Io che ho pianto davanti a te tutte le mie lacrime, che ho gridato a te tutta la mia disperazione, il mio crudele dolore, il mio amore.
Vuoto a perdere. Inutili distrazioni quando parte di me dimora in un oscuro altrove, alla ricerca di un modo altro per vivere nella voglia di viverti nuovamente, con me, dentro di me, per sempre.

giovedì 10 novembre 2011

 
Ti piace scrivere e hai un racconto che desideri far leggere? Da domani il nostro blog raccoglierà i testi migliori e li pubblicherà on line. 
Gli autori dei tre racconti che al 31 dicembre avranno ricevuto maggiori apprezzamenti, riceveranno un libro in omaggio :-)
Il tema? "Caro Amore Ti Scrivo..."
Manda il tuo racconto, completo di liberatoria nel quale affermi che è di tua proprietà intellettuale,  libero da vincoli editoriali e ci autorizi a pubblicarlo sul blog TuttoSuiLibri.com. Non è previsto compenso e il materiale non verrà restituito. 
Sottolineamo che i racconti verranno pubblicati nel blog senza effettuare alcuna revisione, siete pregati perciò di controllare bene il testo prima dell'invio.
Email a cui spedire i testi: irene.pecikar@alice.it nell'oggetto specificare "Caro Amore Ti Scrivo". Non dimenticare la liberatoria senza la quale il tuo racconto non verrà preso in considerazione.

Prossimamente i vostri racconti!